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Wietzendorf - un presepe tra i fili spinati

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L. Frigerio nel suo libro “Noi nei lager” riporta le voci e le testimonianze di chi visse in prima persona la tragedia della deportazione e della vita nei campi di concentramento tedeschi. Di testimoni di questa vicenda oggi ne rimangono pochi: gli anni passano e i reduci sono, per forza di cose, sempre di meno. In questo volume sono raccolte storie che paiono incredibili, e che sono invece dolorosamente vere, drammaticamente autentiche e tra queste quella fatta del reduce tenente di artiglieria Tullio Battaglia. Le parti virgolettate sono prese dal testo citato mentre il restante è frutto di una mia ricerca in  merito a questo presepe.

“Lager di Wietzendorf vigilia di Natale 1944.

La pioggia da qualche giorno aveva  cessato di scorrere tra i tetti sconnessi delle camerate, ma il vento gelido d’oriente ghiacciava sulla pelle le divise lacere e le scarpe sfondate infliggendo nuovo e continuo tormento ai seimila uomini del campo. Seimila soldati italiani, rinchiusi come bestie, segregati dal mondo, perché – come migliaia e migliaia di loro compagni – non avevano voluto accettare di continuare a combattere per i nazisti né piegarsi ai compromessi della Repubblica Sociale

Per loro, quello era il secondo desolato inverno di prigionia in quegli squallidi lager tedeschi. Una moltitudine di uomini, vecchi e giovani, ormai privi di tutto, piegati dall’estrema denutrizione, spettri inermi di fronte alla quotidiana, inutile crudeltà dei carcerieri, attendevano il Natale nelle miserie di ogni giorno, immersi nel fango, afflitti dalle malattie, schiantati dalla morsa della fame”.

Il colonnello Pietro Testa, per combattere il senso di disperazione che stava crescendo tra gli internati, pensando al Natale vicino, diede un ordine speciale ai suoi compagni di sventura: “Un presepe in ogni stube”. Gli altri sfruttano la creta, il sottotenente Tullio Battaglia, per la sua grande baracca, pensa a qualcosa di originale, che coinvolga tutti con un piccolo dono.

Segue nel testo una descrizione, non molto particolareggiata, di come nacque il presepe:

“Con un coltellino da scout (miracolosamente scampato ad ogni perquisizione), una robusta forbicina, un cardine di una porta come martello, alla luce di un lumino che ognuno contribuì ad alimentare togliendo una piccola parte alla microscopica razione giornaliera di margarina, nacque questa sacra rappresentazione.

La nostalgia della propria terra spinse il giovane tenente ad ambientare la scena in un angolo di una tipica cascina della Bassa dove un’umile contadina nel costume lombardo si avvicina al Bambin Gesù, stretto tra le braccia della Vergine Maria che lo offre per la redenzione dell’umanità”.

I particolari li ho trovati scorrendo l’elenco dei prigionieri IMI (Internati Militari Italiani) di Wietzendorf e cercando sul WEB riscontri in merito.

Anche documenti rintracciati nel campo narrano gli avvenimenti occorsi nella notte di Natale nella baracca.

Lo scheletro di ogni personaggio è ricavato dal legno dei letti e tenuto assieme da filo spinato;

La Madonna, con le trecce nere, è raffigurata in atto di offerta del Figlio come olocausto. Ha il vestito azzurro fatto con un pezzo della la sciarpa d’ordinanza del tenente Altasoldiari di Milano guarnito dal pizzo del fazzoletto del tenente Zimaglia, l’aureola è composta da una corona fatta con le corde della chitarra del tenente Zoffoli di Forlì e con le stellette militari. Il Bambino è coperto da un fazzoletto di seta del tenente Michele Bianchi di Milano e l’aureola fatta come sopra citato. Il mantello di San Giuseppe è ricavato dal sacchetto delle pulizie del capitano Trombetta di Como mentre il bastone da un rametto della ramazza usata per pulire la baracca.

Tutte le figure sono rivestite da un pezzo della giacca dell’uniforme grigioverde del capitano dell’artiglieria da montagna Dalla Bernardina, di Belluno.

Il pelo dell’agnello della fodera del pastrano del capitano Bertolotti di Como è servito per fare i capelli e la barba delle statue.

I vestiti sono cuciti col filo tolto da qualche straccio colorato mentre i doni vennero ritagliati da vecchie lattine.

I Re Magi: uno con turbante e fascia ottenute da un ritaglio di pigiama del tenente Mantobbio di Milano; un altro, coperto da un manto rosso ottenuto da un pezzo di una bandiera italiana - tagliata dai prigionieri per sottrarla alle perquisizioni naziste - ha per collana un pendaglio del braccialetto del tenente Mendoza di Vigevano; i pantaloni del terzo furono ricavati dalle calze della befana spedite dai suoi bambini, l’anno precedente, al capitano Gamberini di Bologna.. L’asinello è ricoperto di tela di juta ricevuta da un compagno di una baracca vicina e il bue ha appeso al collo una campana.

L’Italia Settentrionale è rappresentata dalla contadina lombarda vestita da tela di cotone rigato ed ha nel cesto, che offre al Bambino, della frutta i cui colori ricordano tutti i colori delle Armi delle Forze Armate Italiane.

L’Italia Centrale ha come rappresentante lo zampognaro d’Abruzzo vestito con pezzetti di panno: rosso in omaggio alla Fanteria, verde per ricordare gli Alpini, amaranto per non dimenticare il Genio

Per l’Italia Meridionale e Insulare è stato scelto il pastore calabrese. La pecora ha il pelo di tessuto sfilacciato della musetta da cavallo del tenente Mori di Arezzo.

Vi era pure l’immagine di San Francesco, il Santo della povertà che ha inventato il Presepe: è coperta da un lembo del saio di Padre Licinio Ricci, il cappellano cappuccino, ed ha in mano il Rosario del capitano.

“E, un po’ in disparte, si intravede anche il militare italiano internato, nella sua divisa lacera ma dignitosa. Quasi intimorito ad avvicinarsi oltre la mangiatoia, eppure mosso da una fede forte, inesauribile. Accanto a lui perfino il "barbaro" tedesco, guerriero dalla forza bruta e cieca che, finalmente illuminato dall'amore del Bambinello, depone ai suoi piedi le armi”

Una tessitrice compone, con un rudimentale a telaio, quasi come sfida, la bandiera tricolore italiana.

Come sfondo filo spinato ed alcuni rami secchi.

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Ecco che mancano venti minuti a mezzanotte: il sottotenente d’artiglieria Tullio Battaglia scrutava nell'impenetrabile buio della notte per vedere se il Cappellano Militare, don Costa, avrebbe mantenuto la parola di celebrare la S. Messa anche nella loro baracca. L’uscita, rischiosissima per il Cappellano, avrebbe potuto portare a severe punizioni tutti quanti. D’improvviso si sentì un ringhiare di cani, un abbaiare agghiacciante che quasi copriva uno scalpiccio fra i reticolati: l’uscio della baracca si aprì e una figura infagottata e trafelata si delineò sulla soglia della porta. Don Costa, ancora una volta ce l’aveva fatta: fra le braccia l’occorrente per la S. Messa “clandestina”. Vista però la particolarissima occasione, le sorprese non finirono qui:  per ricoprire l’improvvisato altare, spuntò fuori una bandiera tricolore sgualcita, gelosamente custodita. Infine, un’altra sorpresa attese il Cappellano militare (infatti non ne era stato informato): quella di vedere illuminato, attraverso una fioca luce data dalla combustione di evanescenti stoppini, un Presepe, contemplato in silenzio da uomini assorti, raccolti attorno in preghiera, denutriti, febbricitanti, coperti dei loro poveri stracci, ad una temperatura di parecchi gradi sotto zero.

La celebrazione della Santa Messa, indimenticabile, ebbe inizio.  Forse qualche lacrima rigò quei visi scavati e sofferenti, poche perché ormai anche quelle erano esaurite.

“Il presepe di Wietzendorf è un ricordo di tanti tornati e rimasti – confida Battaglia - perché ciascuna statuina è fatta con ciò che ogni prigioniero, nella sua totale povertà, ha voluto donare, privandosi di cose enormemente care, brandelli di vita passata che il coraggio di ciascuno ha trasformato in segni di speranza. …….Quella santa notte il presepio della prigionia,simbolo potente di fede indistruttibile, ha portato in mezzo a quella nostra solitudine un’ondata vivificatrice di gioia, di ricordi caldi e dolci e sereni dei Natali di casa”

La composizione di 15 statue è ora conservata (per volontà testamentaria dello stesso Battaglia) nel tesoro della Basilica di Sant’Ambrogio in Milano: forse il bene più prezioso, plasmato non con l’oro ma con la vita e la speranza.

Tullio Battaglia era riuscito a portarla a casa, ripiegata, in una valigia di cartone, dopo la liberazione.  Battaglia ha lasciato pure scritto:

“Manca il bue, il bue con un grande collare e una grossa campana, come quelle che nei nostri pascoli alpini risuonano al passo lento delle mandrie. E’ rimasto lassù, povero prezioso segno a tenere compagnia a quelli che l’hanno visto nascere e non sono tornati”.

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Fa davvero rabbrividire pensare alla vita di quei poveri prigionieri, che nonostante la sofferenza trovarono ancora il modo di amare Gesù. E' un esempio di fede straordinario

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Battaglia aveva raggiunto il suo scopo: rappresentare l’umana varietà rinchiusa nel lager tedesco, cercando di ricordare a ciascuno almeno un segno della propria casa lontana.

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